Intelligenti si diventa
8 maggio 2003
Intelligenti si diventa
Il patrimonio genetico conta poco. i neuroni e le sinapsi- possono migliorare. E il bambino può sviluppare enormemente il suo cervello. Imparando. Parola di uno dei più grandi pedagogisti viventi
colloquio con Reuven Feuerstein
di Paola Emilia Cicerone
Sia come sia, «l'ultima parola non spetta ai nostri geni. Non voglio negare la loro importanza, ma la realtà biologica può essere modificata, e così le strutture cerebrali». E' il credo di Reuven Feuerstein, il battagliero psicologo israeliano padre della teoria sulla modificabilità delle strutture cognitive, e di un metodo di "apprendimento mediato" utilizzato in tutto il mondo per migliorare le prestazioni scolastiche di bambini e giovani svantaggiati. Proprio grazie a questo metodo è nata dieci anni fa la collaborazione tra Feuerstein e la Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani nel settore della neurologia infantile. Un'intesa da cui è sorto il progetto Mishima dl Tokyo appena avviato (insieme anche all'Istituto Neurologico Besta di Milano, all'Università di Pavia e all"Associazione la Nostra Famiglia di Bosisio Panni) per verificare con tecniche di imaging, come la Pet, le modifiche alla struttura cerebrale indotte dal metodo Feuerstein, e per confermare i risultati positivi già ottenuti con vari tipi di test. Lui, Feuerstein, non ha dubbi: «I cambiainenti comportamentali agiscono sul cervello a livello strutturale, creando nuovi neuroni, nuove sinapsi. Oggi grazie alle ultime metodiche non invasive possiamo addirittura vedere aree cerebrali che si vascolarizzano durante il processo di apprendimento. E questo significa che la dicotomia tra spirito e materia non ha più ragione di essere: i mutamenti spirituali possono produrre materia. una rivoluzione di cui la gente non si è ancora resa del tutto conto».
Gli abbiamo chiesto di raccontarla.
Il suo metodo è utilizzato per bambini con handicap mentali, ma anche per bambini con intelligenza superiore alla media e, nelle aziende, per i manager. Cosa lo rende così flessibile?
«E un metodo che analizza in dettaglio il processo di apprendimento, intervenendo quando sorgono dei problemi per cercare di capire, dal punto di vista cognitivo, cosa sta succedendo, ad esempio, se il soggetto non ha capacità di astrazione, non riesce a generalizzare, o semplicemente manca di informazioni essenziali per procedere nel ragionamento. Da questo punto di vista non esistono persone ritardate o stupide, ma persone che in alcune situazioni vivono uno stato di stupidità. Come può succedere a lei o a me».
Esistono però disfunzioni neurobiologichi che possono essere valutate clinicamente e test di intelligenza che valutano il quozienti intellettivo.
«Non nego che esistano condizioni neu obiologiche quantificabili. Dal mio punto di vista però non sono un dato incontrovertibile, ma un'informazione preziosa per capire quali sono le condizioni d partenza, da cui ci muoviamo per intervenire. Quanto al quoziente di intelligenza, il problema è che misura i risultati gìà ottenuti, il livello a cui quel soggetto è arrivato, mentre il mio metodo, il Lpa (Learning Propensity Assessment Device), valuta le potenzialità di apprendi mento, il percorso da fare».
Il suo metodo si basa sulla figura del mediatore: di cosa si tratta esattamente e in cosa differenzia da un insegnante?
«Un insegnante trasmette nozioni, abiltà, parte dal presupposto che l'allievo si in grado di apprendere e che, se non ci r esce, questo dipenda da lui. Il mediatore si occupa del processo di apprendimento più che del risultato, tiene conto dell'atteggiamento dell'allievo e delle sue difficoltà e cerca di renderlo più efficiente, sforzandosi di mobilitarne l'attenzione, la motivazione, le capacità di memorizzare. La capacità di apprendere tramite mediazione è una caratteristica unica della specie umana: solo così possiamo usufruire davvero degli stimoli intellettuali che ci vengono offerti».
Un buon docente, dunque, deve essere anche un bravo mediatore?
«I primi mediatori sono i genitori, anche se oggi sfortunatamente spesso rinunciano a questo ruolo, e i bambini arrivano a scuola senza aver usufruito della mediazione che consentirebbe loro di beneficiarne pienamente. Il guaio maggiore è che sì chiede agli insegnanti di trasmettere solo nozioni, e non valori, sentimenti. Proprio ora che la società ci impone di imparare processi mentali sempre più complessi, e in continuo rinnovamento».
Oggi si cerca di insegnare divertendo: lei invece afferma che il processo di apprendimento, per avere successo, deve essere deliberato e consapevole.
«Per fare progressi il bambino deve rendersi conto di quello che sta succedendo, capire esattamente quale sia il percorso che lo porta a ottenere il risultato desiderato, si tratti di un'operazione matematica o di un esercizio di logica. Non bisogna togliere il piacere di imparare, certo, ma un approccio puramente edonistico non aiuta i bambini ad affrontare una vita di lavoro: devono rendersi conto che imparare comporta uno sforzo».
Come per imparare a suonare o a leggere?
«Se si mette l'accento solo sul piacere che si trae da queste occupazioni si avranno risultati molto modesti. D'altronde, non è mai troppo presto per insegnare a leggere a un bambino: io ho imparato a tre anni, ed è già tardi. Credo che molti bambini diventino dislessici proprio perché non imparano a leggere abbastanza presto».
Il gioco, allora, non può entrare nel processo pedagogico?
«Al contrario, può essere utile, purché il mediatore intervenga aiutando il bambino a interpretare quello che sta facendo. I bambini hanno esigenze fisiche che vanno soddisfatte, e anche le arti - ad esempio la musica - hanno un ruolo importante nell'educazione. In realtà, l'importante non è "cosa" si impara, ma "come". Non basta esporre il bambino a una canzone o fargli vedere un'opera d'arte bisogna prepararlo all'esperienza, aiutarlo a fare dei collegamenti, a generalizzare, inserirla nel suo bagaglio di conoscenze.
E i giochi tecnologici, computer e videogame? Possono essere d'aiuto?
«Si pensava che potessero migliora prestazioni dei bambini in termini attenzione e velocità, ma i risultati ottenuti sono del tutto insoddisfacenti: con i videogame i bambini imparano compiti ripetitivi, con poche variazioni e poca trascendenza, e oltretutto questi giochi vanno a scapito della loro forma fisica. Bisogna fare attenzione a non eccedere: lo spazio tridimensionale, reale, offre esperienze più ricche di quello virtuale».
I bambini trascorrono molto tempo da soli, o in compagnia di un unico adulto: questo può rappresentare un problema?
«Viviamo in una società individualistica, in cui si perdono i benefici che potevano venire da.una famiglia allargata. Invece, per il bambino è molto importante il contatto con gli altri, soprattutto con i coetanei. Ma ancora una volta, non deve essere un contatto casuale: un gruppo organizzato, che riceve la mediazione da un adulto o da una persona più matura, può diventare a sua volta un ottimo strumento di mediazione».
Lei sostiene che anche un'intelligenza vivace può rappresentare un ostacolo: in che senso?
«L'intelligenza è la propensione dell'individuo a utilizzare le proprie esperienze per trarne fonte di conoscenza. Ci sono però dei ragazzi intellettualmente molto dotati che non sanno sfruttare al meglio le loro capacità. Imparano solo quello che gli interessa e gli riesce facile, e amano sola quello che hanno imparato. Il numero dì questi bambini è in continuo aumento: il mio metodo può insegnare loro, che bisogna lavorare per risolvere i problemi, che imparare costa sforzo. Un'esperienza utile per tutti anche u'insegnánte che si scontra con le difficoltà dell'apprendimento diventerà un docente migliore».
Lei fonda la sua pedagogia sul codcetto dl "non accettarmi come sono": non pensa che una eccessiva severità possa creare difficoltà specie alle persone meno dotate?
«Sono proprio i bambini con difficoltà di apprendimento a chiederci, di dare loro la possibilità di cambiare, di progredire. Non si aiuta certo l'autostima di un bambino accettando paternalisticamente i suoi errori, senza aiutarlo a individuare e superare gli ostacoli. Il senso di sicurezza di un bambino dipende da quello che è in grado di fare».
Il suo metodo si può utilizzare per qualunque deficit di apprendimento? o ci sono dei casi in cui non è efficace?
«In questi anni abbiamo visto persone con danni cerebrali diventare ottimi studenti, ragazzi autistici che si sono trasformati in membri integrati della società. L'esperienza insegna che questo metodo può essere utile per moltissimi individui, anche se ovviamente, il risultato finale dipende da vari fattori. Certo, richiede una grande quantità di lavoro con insegnanti specializzati. Mia madre, che non aveva certo una formazione specifica, è stata per me uno splendido mediatore».