Feuerstein, perche' credo che intelligenti si diventi
"E' identico a Pizarro, con la barba bianca che gli scende sulla camicia e il basco tondo. Reuven Feuerstein - che venerdi' ricevera' dall'Universita' di Torino la Laurea Honoris Causa in Scienze dell'educazione e domani, ore 16.30, terra' una conferenza a Palazzo Nuovo, via Sant'Ottavio, aula 39, ingresso libero. Ha un curriculum e una bibliografia sterminati. Ma cio' che colpisce di piu' e' il miracolo continuo che produce il suo lavoro. Lo incontriamo a Gerusalemme, nel suo International Centre for the Enhancement of Learning Potential. L'energia del vecchio professore provoca un riverbero abbagliante sui collaboratori e sui pazienti, circa 200, tutte persone che soffrono di gravi difficolta' cognitive legate a malattie genetiche come la sindrome di Down.
C'e' qualcosa nella sua esperienza di vita, professor Feuerstein, che l'ha portata a sviluppare un metodo che parte dalla convinzione teorica che l'individuo e' modificabile a livello intellettivo quasi senza alcun limite, a prescindere sia dai danni ambientali, per quanto terribili, sia da quelli genetici?
«Si', l'intelligenza non e' un'abilita' immodificabile la cui evoluzione avviene secondo stadi prefissati. E' un potenziale dinamico sul quale e' possibile intervenire in qualunque momento, non solo quando il bambino e' piccolo, per favorire lo sviluppo e recuperare le carenze».
Come e' nata questa convinzione che poi ha sviluppato in una teoria e in un metodo ormai diffusi in tutto il mondo?
«La vita mi ha messo in tante situazioni apparentemente insuperabili che poi si sono risolte con esiti positivi e imprevedibili. L'Olocausto, la tubercolosi, le guerre... Sono nato nel 1921 in Romania, da una famiglia di rabbini, il quinto di nove figli. La mia famiglia era sionista, socialista, ultraortodossa, un coacervo di ideologie molto attive e anche in contrasto fra di loro... Ho imparato a leggere a tre anni, e subito mi sono trovato nella condizione di insegnare agli altri a leggere e a scrivere. A otto anni mi e' stato affidato un allievo di quindici anni che non riusciva ad imparare niente. Suo padre mi disse: ti prego, aiutalo perche' non posso morire se non impara a leggere il kaddish (la preghiera che i figli recitano quando seppelliscono i genitori ndr). Sin da ragazzo ho insegnato in situazioni in possibili, prima nei campi di preparazione sionista quando i tedeschi stavano per invadere Bucarest, poi in Transilvania dove venivano raccolti bambini scampati ai campi di concentramento. Poi sono stato a mia volta internato, e sono stato liberato solo per un miracolo, un errore di persona. Ho insegnato in Romania a Bucarest, e finalmente il 20 aprile del '44 si e' compiuta la mia aliyah sulla nave Milka, ovvero il mio passaggio in Israele: in quel coacervo di esperienze quasi impossibili, di sforzi inauditi di sopravvivenza ma anche di immense speranze e entusiasmo, ho cominciato il mio lavoro con in bambini che arrivavano dai campi di sterminio e piu' tardi dai Paesi del Maghreb. Situazioni intrattabili, psiche e corpo che apparivano rovinati definitivamente. Qui ho cominciato a sviluppare la mia teoria, approfondita poi negli studi in Svizzera. Puo' un trauma psichico ritenuto insanabile essere sanato? Quando riesci ad avviare a una vita normale un bambino come Noah che si era aperto in un campo di concentramento la strada per uscire da sotto una montagna di morti, quando vedi che riesci ad avviare al servizio militare, al lavoro normale, un ragazzino marocchino che a dodici anni ha contratto una malattia alla pelle che lo rende inavvicinabile agli altri, che e' violento e non ha nessuna abilita' lavorativa, che ha vissuto sempre senza genitori negli interstizi della societa', capisci che l'intelligenza umana e' una macchina in movimento continuo, che deve trovare solo un guidatore capace di indirizzarla.».
Puo' sintetizzare la sua teoria?
«La mia teoria si chiama "Modificabilita' cognitiva". La sostanziale plasticita' dell'intelligenza si conserva ben oltre l'infanzia, e non esiste quoziente d'intelligenza basso che ci possa scoraggiare. Abbiamo aiutato a diventare normali bambini con quozienti 70, 60, 50. Il quoziente d'intelligenza ci racconta solo quello che il ragazzo ha appreso, non ci dice nulla su quello che potrebbe essere messo in grado di imparare con la giusta mediazione degli insegnanti. Perche' e' questa mediazione che e' indispensabile nel mio metodo. Il cambiamento che il loro lavoro puo' indurre nei disabili non si limita a comportamenti, alla superficie, ma interessa direttamente la struttura dei processi mentali, e quindi resta stabile nel tempo. Il metodo richiede tutta la dedizione, tutta la capacita' selettiva dell'educatore, tutta la sua pazienza nel selezionare le nozioni e i principi utili al bambino e nel regolare i tempi dell'apprendimento, che per esempio nei bambini Down sono piu' lenti. Comparazione, classificazione, percezione analitica, relazioni spazio temporali sono per noi materie di apprendimento. Ci aiuta un'autentica industria di giocattoli speciali che produciamo per aiutarci con l'aiuto di disegnatori, artigiani, educatori. Sono giocattoli complessi, pensati in modo specifico per superare certe disabilita': ho visto spesso i nostri ragazzi diventare piu' veloci e abili dei ragazzi normali nel rimettere insieme i pezzi di un qualche speciale puzzle. L'insegnante accompagna il ragazzo non solo nel regno della conoscenza, ma in quello dello sviluppo del suo stesso cervello, che si modifica nel tempo.».
E' sicuro che piu' che degli insegnanti non servano persone dotate di particolarissime doti umane, di carisma e di pazienza, persone quasi introvabili?
«Non direi: certo la formazione del maestro e' la colonna indispensabile di tutto il nostro lavoro, ma l'esperienza e' straordinariamente positiva. Solo qui da me ci sono 160 insegnanti, ma la volonta' di apprendere il metodo e' gigantesca e riceviamo richieste di formazione da tutto il mondo: il nostro programma detto IE (Instrumental Enrichment ) e' tradotto in tutte le lingue europee e in molte lingue asiatiche, inclusi il cinese e l'arabo. Circa 30 mila studenti imparano il programma, i nostri metodi, le scuole, la formazione, stanno diventando sempre piu' diffusi. Anche in Italia si e' cominciato a capire quello che sembrava impossibile fino a pochi anni fa. Nessuno deve essere messo da parte.».
La parte che colpisce di piu' nel suo lavoro e' quella del recupero dei bambini affetti da Sindrome di Down. Per lei i cromosomi sono un'opinione...
«Non e' proprio cosi': ma anche per loro vale il principio che tutti si possono modificare con un lavoro di comportamento, conoscenza, comunicazione. Sono i tre principi del metodo in generale, e anche con loro il metodo modifica il cervello, lo sviluppa, crea nuovi circuiti.».
Pensa che una societa' del profitto come la nostra sia disposta a mettere a disposizione dei bambini Down quasi un insegnante a testa? E in definitiva anche per quel che riguarda loro, non si crea sofferenza in queste persone che crescono in consapevolezza e acquistano via via la percezione che comunque non saranno mai eguali agli altri?
«I ragazzini Down imparano si' di non essere eguali, ma anche di non valere di meno: e il nostro metodo li conduce sempre a uno sbocco in cui siano apprezzate le loro qualita', cosa che accade invariabilmente perche' sono dolci, impegnati, sensibili, dotati di senso dell'umorismo... Adesso che vivono molto piu' a lungo che nel passato riescono a giungere a risultati davvero utili alla societa'. Per esempio sono molto dotati nella cura degli anziani, o come aiuto degli infermieri negli ospedali. Curandoli la societa' non va incontro a nessuno svantaggio economico, ma a due vantaggi: mette in condizioni migliori sia chi soffre di Sindrome di Down sia tante persone che essi possono assistere veramente bene».
Quindi continuera' la sua guerra contro i geni.
«Non e' una guerra: io non credo che possiamo accettare un doppia ontologia: esiste un solo essere umano, con la sua parte genetica e la sua parte socioculturale. Tutta la vita siamo protagonisti di una interazione costante fra la prima e la seconda di queste zone della nostra mente. Non siamo nella jungla, Tarzan e' lontano. La musica, l'arte in generale, il senso morale e le norme etiche non sono genetiche: la cultura e' destinata a cambiare senza tregua quello che la natura ha fatto. Saperla indirizzare vuol dire lavorare per il meglio a costruire un buon essere umano.».
Professore, lei appare in gran forma, ma a ottant'anni non sente la fatica di un'impresa ciclopica come quella di cambiare l'essere umano? «Con tutto quello che ho passato, non mi sarei certo aspettato di arrivare a quest'eta'. Nessuno me l'aveva promesso e quindi sento come un dono meraviglioso di poter ogni giorno seguitare a lavorare a qualcosa di utile. Quindi prego di continuare quanto piu' posso, e finora ho ricevuto questo dono di Dio. Mi sento come lo shohet (il macellatore rituale ndr) della storia di Shai Agnon che la Morte ha deciso di portarsi via: lo incontra mentre di Shabbat va al suo lavoro e quando la Morte lo invita ad andare con lei, lo shohet risponde di essere pronto. "Solo, c'e' un problema" aggiunge, "la comunita' non avra' la carne per preparare la cena di shabbat". La Morte visto che il mondo ha bisogno del suo prescelto, si ferma. Ogni tanto mi cullo nell'illusione che possa accadere anche per me."
Fiamma Nirenstein (Scienze e scuola 27/10/99)